Zapping! #2 – E LUCE SIA!

rinvasate (2)

di MARCEL DU CAMP

Come spoilerato nella prima puntata, stavolta vi mostro il light-box in cui sto plasmando il punto focale della mia coltivazioncina 2013.

Nel caso foste fessi (e se vivete in città ci sta che non distinguiate un pino da una quercia, una bocca di leone da un tulipano, un fatalii da un bhut jolokia yellow, ecc. ecc.), occorre spiegare che quelle che vedete nella foto qua sopra non sono le piante della droga, bensì piante di peperoncino di svariate cultivar, che vanno dallo sbombardonissimo al decisamente poco piccante.

Quest’anno ne produrrò un numero variabile fra 27 e 30. A fini alimentari me ne basterebbero 5 o 6, ma sto diventando un fottutissimo chilehead  e quindi ci do che ci do che ci do. Oltre tot piante infatti si entra nel collezionismo, un po’ come Nero Wolfe con le orchidee o Pannella con gli scioperi della fame.
Orbene, a che cazzo serve un light-box? Ma, soprattutto, che cos’è? È una scatola, un qualcosa su cui monti delle luci opportune e dentro cui schiaffi le piante per garantire loro una quantità ottimale di luce, funzionale alla crescita e al corretto sviluppo delle suddette. Si rende necessaria quando devi fare delle semine anticipate perché la quantità di raggi solari, la loro incidenza e le ore di luce, in inverno, sono insufficienti. E le piante verrebbero di schifo. Se volete spiegazioni più dettagliate, esiste l’internet. Usatelo.

Come visibile dalla foto in alto, io ho scelto delle lampade neon specifiche per piante che emanano questo colore rosa inquietante, che fa molto Nasa. Se, come me, decideste di piazzare il baracchino accanto alla finestra, siate pronti ad accettarne le conseguenze: può capitare che un pernicioso giovanardi di passaggio decida di chiamare gli sbirri, poiché insospettito e giovanardi; può anche capitare il petulante grillino che, insospettito a sua volta, potrebbe dare di matto convintissimo che si tratti di un laboratorio Bilderberg per la fabbricazione di microchips – assemblati con lo stesso materiale di cui sono fatte le scie chimiche – gestito da un troll di Bruxelles attorniato dai membri di una turpe Gesellschaft massonica, i quali indossano pure la tipica divisa composta di: ghette, bastone, tuba, monocolo, papillon, mustacchi importanti e fracking.
Poi quando le temperature minime si assestano almeno sopra i 12 gradi Celsius, le piantine si possono anche mettere in terra piena o in vaso (e dovrei anche dirvi che… no, vi lascio la sorpresa, dai).
La rottura di coglioni è che bisogna starci dietro: troppa poca acqua = morte; troppa acqua = morte; terriccio schifoso = morte; umidità eccessiva = morte; troppa poca umidità = morte; troppa luce e troppo vicina = morte; troppa poca luce e troppo lontana = morte.
A parte questo, se tutto fila liscio le soddisfazioni saranno grandi, specialmente a livello di scherzi agli amici (se se ne hanno).
Ogni grower, ad un certo punto, sviluppa i propri rituali seguendo la nota teoria secondo cui le piante capirebbero quello che dici loro e sarebbero in grado di cogliere gli stimoli esterni.
Secondo me è una cagata. (Quel “secondo me” mi fa sorgere il sospetto che qualche chiacchierata con prezzemolo e cespugli hai cercato di farla. N.d.VOM). Ciò nondimeno, alle mie piante non faccio mai mancare educativi ascolti di “Reign In Blood” degli Slayer o di altre musiche notoriamente moleste, nella speranza che crescano arcigne e pronte a far danni.
Ché lo stereo e il light-box sono nella stessa stanza, quindi – volenti o nolenti – la musica brutta se la ciucciano l’istess. O così o pomì.

Questo è quanto. Nella prossima puntata, se mi va, vi spiegherò lo strano fenomeno delle sfioppole sulle mani se vangate senza indossare i guanti!

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